Il welfare aziendale è sempre più protagonista del sistema di welfare italiano, quando dal 2016 la Legge di Stabilità e i successivi decreti attuativi hanno fornito un quadro normativo e un forte incoraggiamento fiscale alle iniziative delle imprese volte a promuovere il benessere dei lavoratori e delle loro famiglie.
Le imprese più virtuose, proprio grazie al welfare, si sono trasformate negli ultimi tempi in veri e propri punti di riferimento per le persone al loro interno e per il territorio in cui operano.
Un quadro sempre più completo ce lo fornisce il Welfare Index PMI, che annualmente valuta il livello di welfare aziendale nelle piccole e medie imprese italiane attraverso un’indagine che coinvolge diversi parametri d’analisi.
Ma vediamo ora nel dettaglio cosa significa welfare aziendale, un’espressione sempre più ricorrente che definisce un ampio ventaglio di servizi, misure e benefit che hanno lo scopo di migliorare, oltre al benessere dei lavoratori, l’immagine e il clima aziendale.
Welfare aziendale, a chi spetta?
Alla contrattazione nazionale, che ha storicamente creato gli istituti del welfare occupazionale collettivo, numerose aziende hanno affiancato accordi privati e territoriali; questo anche grazie al Jobs Act rivolto all’introduzione di sistemi di welfare aziendale sempre più evoluti.
Dalle ricerche emerge però che molto spesso i lavoratori non sono nemmeno a conoscenza delle misure di welfare già previste dai contratti nazionali.
Parlando di welfare non dobbiamo pensare però solo alle grandi realtà. Proprio per la sua natura modulare e personalizzabile un piano di welfare aziendale si adatta al tipo, alla dimensione e alle esigenze dell’impresa: dai franchising all’azienda manifatturiera, dallo studio professionale all’artigianato.
È riservato ai dipendenti pubblici e privati, e dunque anche agli amministratori con funzioni operative, indipendentemente dal numero di assunti. Le misure adottate possono essere estese ai familiari, anche quando non fiscalmente a carico.
Una condizione da tenere ben a mente è che le misure adottate devono essere strettamente rivolte a una categoria omogenea di dipendenti affinché le somme destinate al welfare siano considerate non imponibili. Ciò implica che non possono essere erogate ad personam ma devono essere rivolte a una pluralità di soggetti identificati da caratteristiche comuni all’interno dell’azienda.
Ad esempio si può destinare uno stesso tipo di servizio/prodotto ai dipendenti con lo stesso inquadramento (impiegati, quadri, dirigenti, ecc.), con lo stesso livello contrattuale o con lo stesso livello di reddito, ai dipendenti con figli, e così via.
Il piano di welfare aziendale può essere esteso anche a somministrati e stagisti, a patto di far rientrare anche queste figure in una categoria omogenea di dipendenti.
Cosa rientra nel welfare aziendale
Non esiste un’unica modalità per dare vita a un sistema welfare. Sotto questa definizione rientrano tutte le iniziative di carattere contrattuale e quelle unilaterali promosse dal singolo datore di lavoro: non si parla di denaro quanto piuttosto di beni e servizi a integrazione della retribuzione ordinaria per incrementare il benessere dei dipendenti e delle loro famiglie.
Pensiamo ad esempio ai buoni pasto, ai buoni benzina o agli abbonamenti al trasporto pubblico, all’istruzione a rimborso, alle assicurazioni di rischio, alle agevolazioni in ambito sanitario come l’accesso a strutture mediche convenzionate o l’assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti.
Quali sono i benefici del welfare aziendale per i dipendenti? Ecco le macro-aree di intervento:
- Servizi di assistenza
- Previdenza complementare
- Sanità integrativa
- Polizze assicurative
- Conciliazione vita-lavoro, sostegno ai genitori (ad esempio accesso ad asili nido)
- Supporto all’istruzione e rimborso spese materiali didattici
- Formazione per i dipendenti
- Cultura e tempo libero
- Sostegno ai soggetti deboli e integrazione sociale
- Welfare allargato alla comunità
Le agevolazioni messe a disposizione vengono anche indicate con il nome di flexible benefit, flessibili proprio perché il dipendente può scegliere come spendere il proprio “portafoglio” di benefit messo a disposizione dal datore di lavoro.
Welfare aziendale o premio di risultato
Tra i vari strumenti usati dalle imprese per motivare e premiare la produttività dei dipendenti c’è il cosiddetto premio di risultato, una quota extra che viene corrisposta al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Dal punto di fiscale e previdenziale è una forma di retribuzione a tutti gli effetti: su di esso il datore paga i contributi e il dipendente le tasse come sul resto dello stipendio. Tuttavia, per le somme erogate come premio di risultato è prevista una tassazione agevolata, ossia aliquota Irpef del solo 10%. A due condizioni però:
- gli importi non devono superare i 3.000 € (o i 4.000 € qualora le aziende in accordo sindacale prevedano specifiche forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro)
- il reddito del dipendente, nel periodo d’imposta precedente, non è superiore a 80.000 euro
La legge n. 208/2015 ha introdotto una grossa novità, ossia la possibilità di convertire il premio di risultato in welfare al fine di godere di importanti vantaggi e, in molti casi, anche della detassazione completa; purché ciò sia espressamente previsto dalla contrattazione collettiva e sia frutto della libera iniziativa del lavoratore. In questo caso il valore del premio convertito è escluso dal reddito da lavoro dipendente.
Conviene sempre? Ecco i pro e i contro di un piano di welfare aziendale
Negli ultimi sette anni le PMI italiane con un livello di welfare aziendale elevato sono più che raddoppiate, passando dal 10,3% nel 2016 all’attuale 24,7%; quelle a livello almeno medio sono aumentate dal 51,1% al 68,3%.
E i risultati migliori si sono ottenuti proprio quando le imprese si sono fermate ad ascoltare le reali esigenze dei dipendenti senza pensare principalmente al vantaggio fiscale che ne avrebbero ottenuto.
L’introduzione di un piano di welfare è già di per sé un beneficio se pensato come progetto strategico a lungo termine. Ma cosa lo rende efficace per tutte le parti coinvolte in un’ottica di vantaggio reciproco?
I vantaggi per i dipendenti
I benefici sono certamente tanti e di vario peso, anche se non possiamo pensare alle politiche di welfare come la panacea di tutti i mali. Come già detto, si tratta di una forma alternativa di retribuzione, che non va ad eliminare la forma classica inclusa in busta paga, ma la va ad affiancare.
Ciò che sicuramente possiamo annoverare tra gli aspetti positivi troviamo:
- L’accesso a servizi spesso onerosi
- Un aumento del potere d’acquisto, grazie ad esempio all’accesso a tariffe agevolate o a sconti
- Il valore dei beni e servizi ricevuti nell’ambito del piano non fa reddito e non è tassato
- Una migliore conciliazione del tempo tra vita privata e vita professionale, con accesso ad attività ricreative o sportive
I vantaggi per l’azienda
I dati dimostrano che un piano strutturato di welfare apre a diversi benefici, senza intaccare la sostenibilità di lungo periodo del piano economico dell’impresa.
Cosa ci guadagnano gli imprenditori e quali opportunità si possono cogliere?
- Il welfare consente di ottimizzare le spese attraverso una riduzione del costo del lavoro
- I costi sono deducibili dal reddito imponibile d’impresa
- Rappresenta una potente leva di employer branding, diminuisce il turnover del personale e attira nuovi potenziali talenti
- Favorisce un clima più sereno e un conseguente aumento della produttività: è dimostrato che i dipendenti “felici” sono più performanti e dimostrano un maggior coinvolgimento.
Welfare aziendale svantaggi
Non esistono svantaggi sostanziali che porterebbero a dire un no assoluto all’introduzione di iniziative di welfare.
Per i dipendenti un piccolissimo punto a sfavore riguarda la penalizzazione, seppur minima, nel calcolo della pensione futura. Il risvolto positivo della medaglia è che potrebbe essere annullata destinando tutto o parte del conto welfare alla previdenza complementare.
Per l’impresa si tratta sicuramente di un impiego dispendioso in termini di tempo, risorse umane ed economiche. Ma se il ritorno ha un valore maggiore dell’effort iniziale, ne vale la pena, no?!
Come attivare un piano di welfare aziendale
Il piano può essere definito in autonomia dal datore di lavoro senza il coinvolgimento dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali (a meno che non si tratti di conversione in premi di produzione).
Con il progressivo diffondersi delle politiche di welfare aziendale, diverse società hanno realizzato piattaforme o portali specifici per l’erogazione dei servizi. Attraverso questi strumenti i lavoratori possono effettuare la scelta dei benefit messi a disposizione dall’azienda fino ad esaurimento del proprio “tesoretto”.
Qualunque strada venga scelta, l’importante è informare bene i dipendenti su tutte le opzioni e le modalità per accedere ai servizi.
Un obiettivo da centrare
Per procedere nella giusta direzione sarebbe opportuno recuperare informazioni preziose direttamente dal personale attraverso questionari e chiacchierate informali che facciano emergere i reali bisogni da colmare.
Un secondo consiglio è quello di fissare un budget e fare una stima preventiva delle spese, in modo da non arrivare del tutto impreparati al momento dell’erogazione del benefit.
È sempre utile farsi assistere da consulenti esperti che sappiano guidare l’azienda verso il percorso di attivazione e mantenimento, a regime, del piano welfare e che possano anche aiutare i dipendenti in caso di dubbi e difficoltà.
In conclusione, il welfare aziendale si dimostra essere in forte crescita. E oggi più che mai le aziende sono capaci di lanciare un forte segnale di vicinanza alla propria squadra adottando uno strumento che ha al contempo una funzione sociale e di sostegno al reddito, di cui possono beneficiare intere famiglie.
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